martedì 15 ottobre 2019

Fiori bianchi, fazzoletti rossi.

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La locandina Web della proclamazione

   "Solo" una menzione, che è pur sempre motivo di grande soddisfazione anche perché il contest era di un certo prestigio: Omaggio a Cesare Zavattini, immaginari, storie e aneddoti della Bassa, organizzato dalla Fondazione Un Paese - Centro Culturale Zavattini di Luzzara (RE). In giuria autorità locali e nomi noti del giornalismo come Gianni Mura e dello spettacolo, con Stefano Bicocchi (in arte Vito), nel doppio ruolo di giurato ed interprete dei racconti finalisti, accompagnato dalle note della fisarmonica di Lorenzo Munari. La cerimonia si è svolta sul palco del Teatro Sociale di Luzzara, un piccolo gioiello recentemente rinnovato.

Foto: Mattia Freddi
Foto: Mattia Freddi

   La formula del contest era quella del racconto breve, anzi, brevissimo (1 cartella, 1800 battute). Una menzione che mi fa particolarmente piacere anche perché avevo timore di come sarebbe stata accolta la tematica che sono andato a trattare, che in qualche modo nonostante siano passati tanti anni, può essere ancora un argomento fastidioso.

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FIORI BIANCHI, FAZZOLETTI ROSSI.

   L'Omero l'ho tenuto d'occhio, non ha battuto ciglio per tutta la funzione. Mentre si andava al cimitero ho visto che il bastardo, nella mano che reggeva il manubrio della bici, teneva un fiore bianco. Tanti fiori e tanta gente in chiesa: seduti davanti l'Attilio con la moglie. Lei era cugina della mamma dell'Elvira e dopo la guerra si era presa in casa la pütleta. C'era il maestro Bertelli, impassibile. La maestra Castaldi invece le lacrime le aveva proprio finite. Dopo che il Bertelli l'aveva bocciata l'Elvira era andata in classe con la Castaldi e di anni non ne aveva persi più. Le scuole però mica le aveva finite. Quando l'Attilio si era preso anche il negozio a fianco per aprire la privativa dietro al banco ci aveva messo la moglie. Così era toccato all'Elvira dargli una mano in posteria, e a scuola non si era vista più. La maestra Castaldi quando andava a far spese le diceva cosa studiare e le guardava i quaderni. E si arrabbiava. Perché in vita sua di studenti bravi così ne aveva visti pochi.

   L'Elvira l'aveva cresciuta il suo papà. Le diceva: la mamma è volata via quando sei nata, e lei guardava le nuvole. Il Bruno, il papà dell'Elvira, faceva il messo comunale, da sempre. Solo che un bel giorno per farlo aveva dovuto indossare la divisa: le cose funzionavano così. Lo sapevano tutti, o almeno così credeva il Bruno, e il 25 aprile mica si era preoccupato di cavarsela alla svelta quella maledetta divisa, come avevano fatto tutti quando l'Omero e gli altri erano tornati in paese, coi fazzoletti rossi legati al collo.

   Comincia a far scuro. Dall'argine sale la nebbia, gennaio è così da sempre, ma non è una cosa a cui ci si abitua. Non ci fai caso perché l'inverno è fatto così, ma in certi giorni non riesci a far finta di niente. Non ce la fai a non pensare a quanto è stata fredda la vita per l'Elvira, a quanto dev'esser stata fredda l'acqua del grande fiume.

L'immagine è un fotogramma del film "Il grido" (M. Antonioni - 1957)



















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