domenica 14 febbraio 2021

SULLE STRADE DEL KENYA


“Scrivere un libro non è come scrivere un articolo per il blog. È un processo lungo e complesso, specialmente se si è del segno della vergine, precisini per antonomasia. Richiede tempo, disciplina, impegno e in tutto questo il restare chiusa in casa perché un maledetto virus ha deciso di sconvolgere le nostre vite è stata la mia salvezza. Non avendo altro da fare mi ci sono dedicata anima e corpo.”
(da LA GLOBETROTTER, il blog di Diana facile)

Da tempo mi sono convinto di una cosa: sui libri di narrativa di viaggio – o almeno su certi libri di narrativa di viaggio - andrebbero scritte belle in grande delle avvertenze a tutela dei lettori, proprio come si fa sui pacchetti di sigarette. Il lettore di narrativa di viaggio dovrebbe essere messo in guardia verso i rischi che corre leggendo determinate pagine. Ci vorrebbe una roba tipo la classica fascetta gialla dei libri che hanno vinto qualche premio dove però ci andrebbe scritto bello in grande “nuoce gravemente alla voglia di starvene a casa”, o anche “non riuscirete mai più a viaggiare come prima”.

Ecco, SULLE STRADE DEL KENYA è il prototipo del libro che non dovrebbe assolutamente essere messo in vendita privo di un'avvertenza per il lettore. Lo vedi sullo scaffale della tua libreria di fiducia, lo scegli, e con quel suo titolo onesto e la bella immagine di copertina te lo porti a casa senza preoccuparti di dove ti porterà la sua lettura. D'altra parte da un libro di viaggio che narra del Kenya cosa potresti mai aspettarti? Sì, okay, in Kenya puoi farci dei bei safari, ma che posto sarà mai il Kenya? I viaggi in Kenya godono della considerazione di cui godono le mete “da viaggio di nozze”,  destinazioni predilette da chi vuole regalarsi una settimana di mare in pieno inverno, coccolati in un confortevole resort all inclusive, quelli resi celebri dai cinepanettoni con Boldi e De Sica. L'idea che tanti hanno del Kenya è quella di una location dove vivere una vacanza vestiti di bianco coloniale, ma non è questo il Kenya che troverete nelle pagine di questo volume. Una lunga militanza da travel blogger ha portato Diana Facile a scrivere il suo primo libro di viaggio forte di uno stile proprio, la sua scrittura è gradevole e accattivante e ci si mette davvero poco ad empatizzare con lei e con il suo modo di raccontarsi. È intrigante seguirla alla scoperta di un Paese dai due volti dove, nelle località più blasonate, il visitatore, il turista, per gli scaltri opportunisti locali diventa una materia prima grezza da lavorare per trarne profitto. Nei riguardi di una bella signora questo si traduce nell'essere tormentata dai cosiddetti “beach boys”, personaggi tanto galanti quanto asfissianti, tafani che del loro essere galanti hanno fatto un business. Incontri fastidiosi che lasciano il tempo che trovano e la portano a pensare al classico “ma che ci faccio qui?”, a chiedersi dove sia finita l'Africa intesa come luogo ancestrale da cui tutti proveniamo, quell'Africa che sa essere così Africa da farti venire il mal d'Africa.


“... Google Maps e altre App dovrebbero agevolare il cammino ma in realtà allontanano dal senso del viaggio. Perché alla fine è bello anche perdersi, fermare uno sconosciuto per strada cui chiedere indicazioni e chissà, da cosa nasce cosa, poi ti ritrovi a cena a casa sua...”

Diana per trovare ciò che cerca non ha timore di sporcarsi le mani, si sposta via terra solo con mezzi di trasporto locali, dai matatu – i minibus dove si rischia la pelle dividendo il sedile con capre e galline, ai boda-boda - i taxi-motocicletta dove si viaggia capelli al vento aggrappati alla camicia del driver di turno. Per pernottare rifugge alberghi o resort, preferisce appoggiarsi a una rete di coachsurfing locale per essere ospite in casa di gente del luogo. Quando può monta la sua tenda. Diana cerca un Kenya che vada oltre la versione preconfezionata per i turisti, ma nonostante il suo impegno nella prima parte del suo viaggio il Kenya che lei cerca sfugge e si nasconde. Ma poi, perché a un certo punto c'è un poi, dopo aver incrociato tanti bambini “ciao caramella” (una sorta di baby beach boys che assillano i turisti in cerca di dolciumi) ecco l'incontro con un bimbo che semplicemente le dice: “ho fame”. Due semplici parole che le aprono prima il cuore e poi le porte e l'anima bella del popolo kenyota. È la svolta di questo suo viaggio. L'autrice finalmente trova ciò che andava cercando e prova dentro si sé la forza vitale di quanti incontra. Le barriere cadono da entrambe le parti e Diana può finalmente strapparsi di dosso il vestito da turista che i beach boys e i ciao caramella cuciono addosso ai turisti per infilarsi nei panni di una donna d'Africa, accettata come tale, e il pallore della sua carnagione cessa di essere una discriminante.
Un cambiamento di cui anche il suo lettore si sente partecipe: se nella prima parte lo stile del libro è quello di un diario di bordo con la cronaca degli eventi quotidiani, nella seconda parte il diario si fa confidenziale, la scrittura corre alta e veloce, c'è quasi una frenesia nel suo voler dare conto più che dei fatti, dei sentimenti e delle emozioni trasmesse da quanti incontra lungo il suo cammino.

Non credo sia per nulla facile essere Diana Facile: uno sciocco gioco di parole al quale affido la mia ammirazione nei confronti del suo modo di viaggiare. SULLE STRADE DEL KENYA è una delle ultime uscite della Collana Orizzonti di Alpine Studio, della quale fa parte anche il mio DOVE IL MONDO FINISCE. Io e Diana abbiamo modi assai diversi di vivere e raccontare i nostri viaggi. Fatico a vedermi spettatore dell'esecuzione di una gallina sacrificata in mio onore come è capitato a lei, eppure in qualche maniera le invidio questa truculenta esperienza. Leggo nel suo blog che Diana è accompagnatrice per Viaggi Tribali, un tour operator “...specializzato in itinerari dal taglio etnografico, naturalistico e culturale, spesso e volentieri in paesi difficili da affrontare in autonomia”. Sono arrivato a un punto della mia vita in cui mi rendo conto di essermi spostato tanto, non tantissimo ma di sicuro molto più di quanto ad esempio abbiano mai potuto permettersi di fare i miei genitori. Ciascuno viaggia a modo suo e prende coscienza di quanto lo circonda in conseguenza della sua sensibilità. Mi considero un viaggiatore attento, anche se a modo mio. La mia curiosità è profonda, mi piace condividere le mie esperienze e mi riconosco una buona apertura mentale. Devo però ammettere di non riuscire nemmeno ad avvicinarmi a quella di Diana Facile. In mancanza di opportune avvertenze mi sono trovato a leggere questo suo libro e ora comincio a pensare seriamente che in futuro non mi sarà facile tornare a viaggiare come ho fatto fino ad oggi. Quando prima o poi si potrà finalmente tornare a viaggiare come Dio comanda non escludo quindi l'ipotesi di rompere gli indugi e prendere contatto con Diana per farmi accompagnare da lei a vivere la realtà di qualche Paese alla sua maniera... però Diana, magari per cominciare facciamo che mi porti in qualche posto tranquillo? La meta sceglila tu, ma scegli per me un Paese dove non sia indispensabile immolare qualche povera gallina, okay?

“Ogni incontro qui è una storia da raccontare, Una storia su cui riflettere ogni giorno della nostra vita, quando ci troviamo di fronte a difficoltà che ci appaiono insormontabili. Vorrei tanto che questo viaggio servisse a questo, a ricordarmi dei mille volti incrociati, delle mille persone conosciute, dei mille racconti ascoltati, dei mille sorrisi ricevuti, per imparare a vivere senza fare più di una banalità un caso di stato, senza piangere più per ogni quisquilia, senza abbattermi di fronte a un sassolino. Vorrei che questo viaggio mi insegnasse a essere più tollerante e comprensiva, verso gli altri e verso me stessa.”