martedì 9 novembre 2021

SIAMO UNA SQUADRA FORTISSIMI!

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La VI Edizione del Concorso di Letteratura Edita “Storie in Viaggio 2021" bandito dall'Associazione Culturale Euterpe di Jesi (AN) ha visto la Collana Orizzonti by Alpine Studio aggiudicarsi ben 5 degli 8 riconoscimenti attribuiti alle opere in concorso... e uno dei 5 premiati sono io! 😊

La Collana Orizzonti ha fatto un po' quello che fece Titanic alla notte degli Oscar del '97 quando il film di James Cameron si portò a casa 11 statuette delle 14 a cui era candidato. Rastrellare 5 premi su 8 è già di per se un risultato clamoroso, a renderlo ancora più significativo il gran numero di titoli in gara dato che in questa VI Edizione di Storie in Viaggio sono confluite anche le opere a suo tempo iscritte alla V Edizione, poi “congelata” causa pandemia. Questa la classifica finale deliberata dalla giuria:

1° Premio
Ulrike Raiser con: DEVIAZIONI - Alpine Studio 2020

2° Premio
Manuel Santoro con: ANDE DIMENTICATE - Alpine Studio 2020

3° Premio
Annella Prisco con: SPECCHIO A TRE ANTE - Ed. Guida 2020

Premio Speciale del Presidente
Barbara Cassioli con: DI QUESTI TEMPI - Alpine Studio 2020

Premio Speciale della Critica
Lorenzo Franchini con: DOVE IL MONDO FINISCE - Alpine Studio 2019

Premio Speciale “Targa Euterpe”
Cristina Noacco con: SUL FILO DELLE CRESTE - Alpine Studio 2021

Menzione d’Onore
Gianni Trimigliozzi con:  IN VIAGGIO– Mario Adda Editore - 2013

Menzione d’Onore
Lucia Guidorizzi con: QUANTO DISTA FINISTERRE? - Ed. Supernova 2020

Tornando al parallelo con gli Oscar, per Titanic ad aggiudicarsi quello per la miglior attrice protagonista fu Kate Winslet, per l'edizione 2021 di Storie in Viaggio ad aggiudicarsi il premio quale miglior “autrice protagonista” è stata la mia bravissima collega Ulrike Raiser con il suo ultimo libro “DEVIAZIONI. Mi complimento con lei e con gli altri miei colleghi di collana:  Manuel Santoro, secondo classificato con ANDE DIMENTICATEBarbara Cassioli Premio Speciale del Presidente con DI QUESTI TEMPI e Cristina Noacco, Premio Speciale Targa Euterpe con SUL FILO DELLE CRESTE.

Io, con il mio DOVE IL MONDO FINISCE non ce l'ho fatta a salire sul podio ma mi porto a casa con molta soddisfazione il Premio Speciale della Critica, un riconoscimento da “autore non protagonista” di cui sono davvero orgoglioso! Dico grazie a tutto lo staff di Alpine, in particolare a Giada per l'incoraggiamento a partecipare a questo concorso e a Sara per l'aiuto nel far diventare il mio libro un libro vero, un libro molto più libro di quanto non fosse prima.

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domenica 24 ottobre 2021

Marvelous India Discovery Tour

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Viaggio in India
Aras Edizioni

Sono inciampato in Francesca Giommi e nel suo libro e in occasione di Parole Passi e Sogni - Festival dei Lettori in Viaggio, dove anch'io ero ospite con il mio Dove il Mondo Finisce. Ho avuto modo di assistere al suo intervento ed ho conosciuto una scrittrice davvero brillante nel raccontarsi al pubblico che è anche una viaggiatrice di grande cultura e sensibilità. Leggendo poi le sue pagine ho apprezzato il modo originale con cui narra su carta il suo viaggiare.

“Beatrice fu attratta improvvisamente dalla soave musichetta come di carillon che fuoriusciva da una porta socchiusa. Senza riflettere sul perché tutta la lunga coda di visitatori procedesse imperterrita, accalcata, diritta e ordinata, o forse proprio per questo, lei d'impulso deviò per infilarvisi, forsanche a cercar momentanea tregua da quell'ennesimo dottissimo bagno di folla...”

La narrativa di viaggio è un genere letterario ben definito dalle radici antiche. Si pensi ad esempio a Omero, che in tempi non sospetti narrò le tribolazioni on the road del giovane Telemaco vagabondo tra Sparta e Troia alla ricerca del padre, un vero bestseller! Così come le memorie appuntate da Marco Paulo de Confinio Sancti Iohannis Grisostomi, detto “il Milione” e noto ai più come Marco Polo, che ben prima delle Moleskine di Chatwin si dedicò alla scrupolosa redazione del diario di viaggio. Ad accomunare un po' tutti gli autori che hanno firmato i classici della narrativa di viaggio è la scomodità che ha caratterizzato il loro peregrinare. La cosa nel tempo ha portato a convincere i più che in assenza di disagio, fatica, sudore e sporcizia un viaggio non sia degno di essere considerato tale e quindi di essere narrato nelle pagine di un libro. È andata così consolidandosi la convinzione che il viaggiatore contemporaneo debba avere giocoforza le sembianze del backpacker che arranca tra una località e l'altra schiacciato dal peso dello zaino che porta sulle spalle, declassando alla sub-sub casta del turista chi invece si trova più a suo agio nel trascinare un trolley sulle sue rotelle, e magari osa pure concedersi (vergogna!) un certo grado di comfort per raggiungere la meta. A rimettere le cose al loro posto e dare dignità anche al turista curioso ci sono però viaggiatori altrettanto grandi che hanno saputo fare di necessità virtù, elevando a forma d'arte (letteraria) anche il resoconto del viaggiare turistico, a cominciare da quello con i bauli caricati in carrozza per il “grand tour” - celebrato da Goethe nel suo “Viaggio in Italia” - per arrivare ai giorni nostri con le Samsonite stivate su aerei, treni o automobili a noleggio per avventurarsi in vere e proprie esplorazioni geografiche e antropologiche, tipo quelle vissute da Bill Bryson e dallo stesso meravigliosamente raccontate in tanti libri di grande successo, nonostante il suo modus operandi di viaggiatore sia squisitamente turistico.

“... al centro della stanza in cui si ritrovò, campeggiava un sontuoso letto a baldacchino, su cui, avvolta da fluttuanti tendaggi, sedeva una ragazzina con fluenti capelli bruni raccolti in una morbida lunghissima treccia che le scendeva sulla spalla scoperta. Indossava un sari in tinta con i suoi occhi ametista ed era assorta ad accarezzare un elefantino d'argento che reggeva in grembo. Lo sguardo che si scambiarono fu fugace. (…) Senza proferir verbo, ormai certa di aver imboccato l'ala privata del palazzo, Bea indietreggiò sui suoi passi e con una strizzatina d'occhio le promise di non far parola con nessuno di quel loro incontro...”

E qui, dopo tutto questo preambolo che forse lascia il tempo che trova, arrivo a Francesca Giommi, che a mio avviso, nel suo piccolo, per quella che è la narrativa turistica compie un piccolo step in avanti, aggiungendo alla cronaca del viaggio un pizzico di fiction che va a condire e rendere più appetitosa la lettura di quello che, diversamente, sarebbe stato solo l'ennesimo libro che parla dell'India. Con questo pizzico di fiction Francesca Giommi fa un po' quello che fanno le brave mammine quando, per far ingollare gli spinaci al pargolo inappetente, gli stemperano l'omogeneizzato nella minestrina a tradimento.


Non tutti amano prendersi la briga di leggere dalla A alla Z una guida di viaggio prima di partire, ed ecco la Giommi proporre una guida nella forma più scorrevole di un romanzo. La trovo davvero una cosa molto smart, come usa dire di questi tempi. La figlia del Maharaja evolve così da cronaca di viaggio che racconta l'India attraverso descrizioni attente e strizza l'occhio alle sue molteplici sfumature (filosofiche, culturali,  religiose) in un romanzo leggero e godibile, dove comunque i riferimenti ai luoghi da visitare, ai mezzi di trasporto da utilizzare o agli hotel dove soggiornare sono puntuali, al punto che può benissimo essere preso quale guida per quanti hanno in mente di fare rotta verso l'India.

La trama si sviluppa con il racconto delle dinamiche che animano un gruppo di persone assortite dal caso in quanto partecipanti al “Marvelous India Discovery Tour”, un viaggio collettivo organizzato che porta il turista per mano alla scoperta delle meraviglie dell'India. La protagonista è Bea, voce narrante ma in terza persona, a cui l'autrice affida il compito di riportare i divertenti intrecci relazionali che si vengono a creare tra i partecipanti della comitiva, situazioni che Francesca Giommi ben conosce in quanto è lei stessa tour leader e guida turistica. Ma il ruolo affidato a Bea è soprattutto quello di raccontare l'India come l'autrice l'ha vista con i suoi occhi nelle molteplici esperienze di viaggio che l'hanno portata a cogliere i diversi aspetti di un Paese, di una popolazione e di una cultura tanto distante da quella occidentale. Si è portati a pensare che un viaggio organizzato lasci poco spazio di autonomia al turista, un mito che Francesca smonta ogni qual volta che lascia a Bea la facoltà di smarcarsi dal gruppo e la proietta a vivere situazioni che erroneamente si immagina possano esser di appannaggio esclusivo degli intrepidi e indipendenti backpaker di cui si diceva qualche riga sopra.

Perché leggere La Figlia del Maharaja? Perché anche nel viaggio più turistico c'è sempre qualcosa di narrativo, a patto che il viaggiatore – pardon, il turista – sia un bravo narratore, come in questo caso.

“Bea raggiunse il resto del gruppo nella sala dei ritratti, Raji era sul punto di raccontare di quel famoso Maharaja divenuto inconsolabile dopo la perdita della sua figlia prediletta, dispersa durante una gita a dorso d'elefante nelle tenute reali. Alle sue spalle un dagherrotipo ingiallito ritraeva una bimbetta vispa dai profondi occhi viola...”.
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lunedì 18 ottobre 2021

L'UOMO DELLA VESPA

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“…il volitivo imprenditore voleva un veicolo a due ruote pratico e a basso costo che, in un’Italia in ginocchio per le disastrose vicende belliche, rispondesse alle limitate disponibilità economiche della gente comune. Doveva essere moderno, agile e glamour: benché vi fosse ancora una terribile guerra in corso, Enrico continuava ad aver fiducia che sarebbe arrivata un’epoca di pace…”

In Italia e nel mondo dire Piaggio è dire Vespa e si fatica a comprendere la poca attenzione riservata alla figura di questo brillante imprenditore italiano. Questo fino al novembre dello scorso anno quando, in concomitanza tra loro ma senza alcun legame diretto tra le cose, Rai1 ha messo in onda una fiction a lui dedicata (Un sogno italiano, ad impersonarlo l’attore Alessio Boni), e ha visto la luce questo agile volume “Enrico Piaggio. L’uomo della Vespa” (2019, pp. 188, euro 18) che può essere considerato la prima biografia di Enrico Piaggio data alle stampe, curata da Basilio Perri per i tipi di Graphofeel Edizioni. L’opera si divide in cinque parti: la prima sezione, funzionale alle successive, inquadra il contesto socio politico italiano nel quale si sono sviluppate le attività dell’azienda di famiglia. Segue la descrizione dei primi passi imprenditoriali di quella che diventerà la dinastia dei Piaggio, fino al momento in cui “Entra in scena Enrico Piaggio”. È questo il titolo del capitolo in cui si parla della vita di uno dei più importanti imprenditori italiani, sia come uomo con quelli che sono stati i suoi affetti e i suoi legami familiari, sia come di capitano d’industria, grazie a quel progetto rivoluzionario diventato il suo più grande successo, la Vespa, che è la vera protagonista della seconda metà di questo volume, con la figura di Enrico Piaggio che quasi scompare dalla narrazione.


Se le pagine in cui sono descritte la nascita, l’evoluzione e l’affermazione della Vespa hanno ragione d’esistere in quanto fu Enrico Piaggio con le sue intuizioni ad aver svolto un ruolo determinante nel suo successo, lasciano invece perplessi le numerose pagine dedicate ai diversi modelli di questo scooter, elencati così come si sono succeduti negli anni, dove la descrizione tecnica è a volte accompagnata da note di costume. Una mole di informazioni che potrebbe frastornare un lettore che non sia un appassionato del celebre scooter assurto a simbolo del Made in Italy. Il lettore vespista sfegatato ne potrebbe invece restare in qualche maniera deluso, perché il Vespista (V maiuscola!) è per sua natura una sorta di talebano, che fatica ad accettare alcune imprecisioni tecniche riportate. Di questo non si può farne comunque colpa alcuna al curatore del volume, che correttamente si è documentato presso quella che per logica è ritenuta la fonte più autorevole in materia, il Museo Piaggio che, a detta degli esperti, è fonte prima delle inesattezze storiche legate alla complessa e articolata vita evolutiva della Vespa. A conclusione del volume troviamo un elenco dei Vespa Club italiani suddivisi per regione. Nonostante la narrazione biografica della vita di Enrico Piaggio sia condensata nell’unico capitolo a lui dedicato, il volume riesce nell’intento di farne un ritratto meno vago e patinato di quanto sia riuscito alla fiction televisiva.

“…emerge la figura di un giovane uomo energico, perfezionista ma poco incline alla pazienza, teso al successo della sua impresa, con acute intuizioni riguardo alla presenza della Piaggio sui mercati interni ed esteri…”.
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Questa mia recensione è stata scritta a giugno 2020 per Modulazioni Temporali 

lunedì 4 ottobre 2021

DOVE VANNO D'INVERNO LE ANITRE DI CENTRAL PARK?

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"La cosa buffa, però, è che mentre continuavo a raccontare balle pensavo a tutt'altro. Io abito a New York e pensavo al laghetto di Central Park, vicino a Central Park South. Chi sa se quando arrivavo a casa l'avrei trovato gelato, mi domandavo, e se era gelato dove andavano le anitre? Chi sa dove andavano le anitre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra. Chi sa se qualcuno andava a prenderle con un camion per portarle allo zoo o vattelapesca dove. O se volavano via."

Il dilemma delle anitre di Central Park è uno dei passi più celebri di quello che è considerato un classico della narrativa americana contemporanea. Un best seller che, partito in sordina, ha poi venduto milioni di copie, talmente celebre e celebrato da essere saldamente in testa alla specialissima classifica dei libri che la gente millanta di aver letto senza averlo mai letto per davvero. Insomma, un classico che a un certo punto della vita (di lettore) tocca leggere.


E se classico dev'essere, classico sia! Per me un classico è ancora più classico se viene letto nell'edizione più datata tra quelle reperibili (a un prezzo umano, s'intende), e la mia copia del "Giovane..." di Salinger non è mica tanto giovane, è una 4a edizione data alle stampe nel 1962, quasi un mio coscritto, io sarei nato l'anno dopo.



Questa non è una recensione, ci tenevo solo a far sapere al mondo che finalmente anch'io lo sto leggendo.

L'anedottica legata a questo libro è ricca di curiosità: nelle prime pagine Salinger fa dire al protagonista - a proposito delle sue letture - che: "... i libri che mi lasciano proprio senza fiato sono i quelli che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira.", peccato che però poi Salinger, una volta divenuto celebre proprio grazie a questo libro, si sia ritirato a vivere in una casetta sperduta in un bosco proprio per non esser disturbato dai suoi fans.
Anche la copertina ha una storia curiosa. Quando Einaudi lo pubblicò per la copertina scelse un'illustrazione d'autore raffigurante un bambino col gelato. Alcune copie furono inviate a Salinger, che a stretto giro intimò di fa sparire quella copertina. Sulla copertina del suo libro non doveva esserci nulla che avrebbe potuto condizionare il potenziale lettore, doveva essere tutta bianca con solo il suo nome e il titolo. Tra l'altro anche il titolo fu un problema per le varie edizioni internazionali in quanto quello originale è di fatto intraducibile, "...una roba tipo 'il ricevitore nella segale' o vattelapesca...", come farebbe dire Salinger al protagonista del suo romanzo, con quel linguaggio scanzonato e strafottente, caratteristico appunto di Holden, il giovanotto.
E voi: l'avete letto? Per davvero intendo, o siete anche voi tra quelli che millantano?



#cosedalettori #leggere #jdsalinger #ilgiovaneholden #ioleggo #bookporn #einaudi #CentralPark #classicbook 

martedì 21 settembre 2021

Vasco Pratolini (scriveva raccontini)

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"E negli intervalli che mi concedeva il lavoro, scrivevo raccontini... Così venne una certa età... dopo tutto quel poligrafismo cominciai a chiedermi seriamente perché scrivevo, e con tutte le mie letture mi accorsi di essere ignorante. Presi una decisione, lasciai il lavoro e mi misi a studiare.".





venerdì 6 agosto 2021

LA NOTTE FRA I DUE INVERNI, perché l'emozione della scalata è una gioia a sé.

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“Sai cosa c'è nella vita? Nella vita non c'è altro che viverla e basta. Basta, non c'è altro. Il senso è tutto qua. Vivere l'amore, vivere il dolore, i momenti straordinari come quelli assolutamente normali. (…) Alla fine, tutto sarà pieno solamente dei momenti che abbiamo realmente vissuto.”

Vent'anni sono quell'età balorda in cui cominci a guardarti intorno e cerchi di capire quale sia il tuo posto nel mondo. A vent'anni guardi i tuoi amici e sei certo che saranno al tuo fianco fino all'ultimo dei tuoi giorni, nemmeno immagini che una volta finiti gli studi ci sarà chi prende altre strade e alcuni di loro finiranno per sparire dai radar. Vent'anni è quell'età balorda in cui sei convinto di essere immortale e nemmeno ti sfiora l'idea che un appiglio ti possa sfuggire o che il chiodo che hai piantato nella roccia possa cedere e può essere devastante, a vent'anni, dare la buonanotte a due amici mentre vi infilate nei sacchi a pelo e tornare al campo il giorno dopo per trovarli ricomposti in una sacca nera dalla squadra di soccorso.

Mi piace andare in montagna. Adoro fare lunghe passeggiate sulle pendici boschive dei rilievi delle mie lande prealpine. Non posso però definirmi un montanaro e men che meno un alpinista, nonostante al tempo della naja mi sia congedato dal Corpo degli Alpini con le spalline ornate coi baffi da caporal maggiore. Nell'approcciare la lettura di questo libro ho ritenuto quindi di dovermi considerare un lettore atipico per un romanzo di genere “montano”. Ho cercato di far mente locale: credo che negli anni le mie uniche letture “di montagna” siano state Aria Sottile di Krakauer – regalatomi - e Fuga sul Kenya di Felice Benuzzi – quest'ultimo tra l'altro in una bella edizione un po' ageé che mi spacciò l'amico Luigi della Libreria Gulliver di Verona – e non sono nemmeno così sicuro che il libro di Benuzzi, pur essendo un classico, possa ritenersi pura narrativa di montagna. Forse anche La Notte fra i Due Inverni di Sciamplicotti non può ritenersi tale, o forse voleva essere così nelle intenzioni del suo autore che in quanto a pagine di alpinismo e di montagna è un autore di punta di Alpine Studio Editore e sono diversi i titoli a catalogo che recano la sua firma.

In questo suo La Notte fra i Due Inverni lo Sciamplicotti uomo di montagna cerca di farsi da parte per dare spazio al suo essere uomo di penna e di scrittura. Il risultato è un romanzo – quelli che ne sanno lo definirebbero “di formazione” - davvero godibile per tutti, anche per chi come me non è necessariamente un appassionato di narrativa d'alpinismo. Poco sopra ho scritto “cerca di farsi da parte” perché, pur trattandosi di una bella storia di amicizia e sentimenti, le arrampicate in montagna sono una costante della vita di Livio, il protagonista, e dei suoi amici, al punto da trovare una parete da scalare anche quando se ne vanno in Sardegna per una vacanza balneare. È palese come per Livio – e per Sciamplicotti – arrampicare sia qualcosa di più che un esercizio fisico fine a se stesso, ed è così che la montagna da ambientazione in cui l'autore fa muovere i suoi personaggi si ritaglia un ruolo da protagonista di primo piano. La gioia nel raggiungere la vetta, l'emozione di una sciata in neve fresca al chiaro di luna, le difficoltà nel trovare il rifugio nella nebbia fitta di una tormenta, finiscono per essere la metafora degli stati d'animo che, al pari della vita del protagonista, scandiscono anche le nostre vite.

“Cerchi di fermare in una fotografia tutto quello che vedi (…). Eppure sai che per quanto ti impegni nel curare l'esposizione, nel cercare il diaframma giusto o la messa a fuoco esatta, quella che otterrai sarà un'immagine monca. Non ci sarà la leggera brezza che pizzica sul viso o la sensazione di calore del sole sulla pelle. Mancherà soprattutto l'odore della neve, buffo odore che nonostante tu ami sai non ti riuscirà mai di descrivere. Un odore che da solo vale almeno la metà del tuo sentire la montagna...”.

La trama (in calce al post trovate la sinossi editoriale) non ha uno svolgimento narrativo lineare. Ogni capitolo è un racconto a sé. Accadimenti della vita del protagonista apparentemente slegati tra loro dove a fare da denominatore comune è la cappa malinconica che ammanta le giornate vissute da Livio che, già provato dalla fine di una relazione sentimentale a cui non riesce a rassegnarsi, è travolto dal male di vivere in cui precipita dopo l'incidente di montagna in cui perdono la vita due cari amici.


Dalla lettura di questo libro ho compreso che si può vivere e innamorarsi della montagna anche senza dover per forza conquistare la vetta del K2, perché l'emozione della scalata è una gioia a sé, e te la può dare anche una parete appenninica raggiunta con gli amici a un paio d'ore d'auto da casa.

Alberto Sciamplicotti "in action".

«Certi momenti non dovrebbero finire mai» ripete con un filo di voce «ma, se fosse così, non potremmo mai più avere una giornata come quella di oggi. Tutto rimarrebbe bloccato in un singolo istante che, per quanto magico e stupendo, non compenserebbe mai quello che avremmo perso nel cambio.»

Sorytel:
 
"La Notte fra i Due Inverni" come tutti i titoli di maggior prestigio di Alpine Studio è presente in forma di audiolibro nel catalogo di Storytel, la piattaforma che consente di ascoltare opere letterarie di ogni genere, dall'ultimo best seller ai grandi classici dal proprio smartphone dalla viva voce di narratori autorevoli, voci del doppiaggio e del teatro, per ascoltare un estratto Clicca QUI 

Sinossi editoriale: Livio ha 23 anni, ama la montagna e crede di amare Paola. Incapace di accettare la fine del rapporto con lei, entra nella sfera di passività tipica di chi cristallizza i ricordi e vive di essi. A questo si aggiunge lo strazio per la morte in montagna di due amici che lo getta in una cupa spirale di depressione dove l’unica fuga sembra essere solo lo stordimento dato da alcool e droga. Livio vive di azioni e ripensamenti, di spinte emotive e conseguenze da gestire. È un ragazzo che sta cercando una via per essere un uomo, e la montagna, che sembra solo luogo di svago e divertimento, assume le forme di rifugio sicuro per maturare e confrontarsi con il suo Io in costruzione. Un romanzo di formazione che racconta un passaggio di transizione, uno squarcio di vita che segnerà per sempre la vita del protagonista, che cresce e trasforma il modo in cui accoglie la vita e i suoi eventi. Scoprire di riconoscersi nel protagonista ricorda come vivere a pieno il presente sia l’unico modo per prepararsi ad affrontare qualsiasi futuro, punto di partenza per una sana e continua esplorazione interiore.

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Nota a margine: quando mi capita di essere di passaggio in qualche città mi piace andare a curiosare nelle librerie generaliste e ho notato che di frequente lo spazio dedicato alla narrativa di viaggio (parlo di libri, non di guide) a volte consiste in una mensola di un metro, due quando va bene. In alcune librerie poi una sezione dedicata nemmeno c'è. I grandi nomi della letteratura di viaggio spesso sulla mensola riservata ai travelbooks non ce li trovi. Uno per tutti a titolo di esempio, Tiziano Terzani: lo si trova di sicuro ma non lì, è tra un'indagine di Maigret firmata Simenon e un romanzo di John Updike in quanto esposto in ordine alfabetico in altro scaffale insieme a tutti gli altri. Ho notato invece che in quasi tutte le librerie non manca mai uno spazio di riguardo per la narrativa di montagna, segno che questo genere letterario ha un suo pubblico e credo proprio che in futuro gli dedicherò più attenzione.
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venerdì 30 luglio 2021

"Ca**o Albert! Dovresti scrivere un libro!"

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Alberto Bortoluzzi è un tipo fatto così: che si tratti di andare dall'altra parte del mondo per visitare un luogo che lo incuriosisce, o anche solo di montare in Vespa per andare a sbrigare qualche commissione nei dintorni di Varese, è altissima la probabilità che gli capiti qualcosa di stravagante che poi, immancabilmente, andrà in giro a raccontare come solo lui riesce a fare.

Chi lo conosce e ha avuto la fortuna di ascoltare le sue avventure dalla sua viva voce sa di cosa sto parlando, e invariabilmente tutti quanti alla fine arrivano a trarre la medesima conclusione:
"Ca**o Albert! Dovresti scriverci un libro!".
Suggerimento che è già stato prontamente accolto qualche anno fa, quando Alberto diede alle stampe una prima raccolta di racconti dal titolo "Piccole storie di fotografia e dintorni", con una selezione dei gustosi accadimenti inerenti la sua decennale attività di fotografo.

Le interminabili settimane del lockdown per lui si sono trasformate in tempo prezioso di cui approfittare per riordinare gli appunti dei viaggi di una vita, che da troppo tempo attendevano di essere trascritti, ed è così che Alberto Bortoluzzi è tornato a vestire i panni di editore di se stesso dando alle stampe una nuova raccolta di racconti, intitolata questa volta semplicemente "In Viaggio", una ricca e divertente collezione di aneddoti e delle sue disavventure on the road, a volte strampalate, altre volte assurde... e in alcuni casi anche osé!
Non necessariamente eventi memorabili, anzi, il più delle volte si tratta di incidenti di percorso che in fondo potrebbero capitare a chiunque, ma a fare la differenza è la sua capacità di saper cogliere quella scintilla di originalità che riesce a farle uscire dal loro anonimato e le nobilita al rango di storie.

"In Viaggio" è un libro da piluccare un po' alla volta, un raccontino ogni tanto.
Una piccola antologia che si lascia leggere volentieri, così come si ascoltano con piacere i racconti di quel tuo amico che delle sue avventure potrebbe scriverci un libro, e che poi il libro l'ha scritto per davvero.
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mercoledì 21 luglio 2021

Al andar se hace el camino, se hace el camino al andar.

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Erodoto108 è il magazine trimestrale pubblicato da Bottega Errante dedicato alla cultura del reportage “... da un mondo che viviamo o che vorremmo vivere, che vorremmo cambiare o che stiamo già cambiando”. I temi trattati li specifica nel sottotitolo: “viaggi, luoghi e persone”.

Ogni uscita dedica un ampio dossier a una specifica nazione e la protagonista dell'ultimo numero, il 31/estate 2021, è l'Argentina, e volete sapere la figata?, in chiusura del dossier c'è un mio racconto inedito, “Al andar se hace el camino, se hace el camino al andar”, scritto per l'occasione su specifica richiesta. Ligio al sottotitolo della testata parlo di un viaggio, e non poteva essere che quello in Argentina narrato nel mio libro Dove il Mondo Finisce. Ho scritto di un luogo, Rìo Mayo, cittadina della provincia del Chubut nel cuore della Patagonia argentina, da cui passai viaggiando lungo la Ruta 40. E ho scritto di persone, tre per la precisione: il piccolo Pichi, Huàscar il gaucho e la giovane Mailen, protagonisti di un incontro tanto fugace quanto intenso immortalato in un'istantanea a me molto cara scattata dal mio amico e compagno d'avventura Alfredo Sacchetto. E ho scritto pure di Sepùlveda e del suo Patagonia Express... ma per sapere in quali termini vi lascio la gioia di procurarvi una copia di Erodoto108.



Ogni tanto capita che qualche rivista mi chieda di scrivere qualcosa ma fino ad ora si era sempre trattato di scrivere cose “vespistiche”. Questa è la prima volta in cui invece sono coinvolto in qualità autore di pagine sudamericane e la cosa mi ha davvero lusingato, anche perché la redazione di Erodoto108 e chi ne firma i contributi sono nomi importanti della narrativa, di viaggio e non, del giornalismo e della fotografia.


Un bel riconoscimento per me e per questa nuova edizione del mio libro che mi dona una piccola gioia in quella che fino ad ora è stata la sua tribolata vita editoriale che – causa lockdown - ha visto cancellare tutti quanti, uno dopo l'altro, gli appuntamenti per la promozione ad eventi e in libreria.

Da solo difficilmente sarei arrivato a scrivere un racconto per una pubblicazione di questa importanza, quindi parto coi ringraziamenti: a Erodoto108 e Bottega Errante per lo spazio e la considerazione, a Martina di On The Road per avermi proposto e al mio editore Alpine Studio per avermi pubblicato, perché tutto parte da lì.

mercoledì 14 luglio 2021

DEVIAZIONI, più leggevo e più avrei voluto andare avanti a leggere.



“Sto bene. È questa la sensazione che provo quando mi trovo ovunque, nel mondo. Che si tratti di una casetta nel bosco, di un sacco-a-pelo nella giungla, di una tenda nel deserto, in pochissimo tempo riesco a trovare le coordinate giuste per ambientarmi ed entrare in sintonia con il luogo in cui mi trovo”.

Sono un lettore notturno. Durante il giorno fatico a trovare il tempo per leggere con la dovuta concentrazione, ma non riesco nemmeno a concepire l'idea di andare a coricarmi senza che ci sia un bel libro ad aspettarmi sul comodino. Vado avanti fino a quando a un certo punto mi trovo a leggere per tre volte la stessa riga, oppure il libro mi scivola tra le mani. Di norma ho una buona tenuta ma dopo una certa ora il crollo credo sia inevitabile, anche con il più avvincente dei thriller. Durante la lettura di DEVIAZIONI invece mi sono trovato ogni volta ad andare avanti a leggere decine di pagine, fino al punto che a una certa ora mi toccava dire basta e riporre il libro, perché qualche ora di sonno dovevo pur farla. Le belle pagine di Ulrike Raiser sono sempre riuscite a tenere alto il mio livello di attenzione senza far mai calare la palpebra, e per un libro che parla del mondo e non ha certo il suo punto di forza in una trama avvincente ricca di colpi di scena credo sia davvero tanta roba. Più pagine leggevo e più avrei voluto andare avanti a leggere.  La cosa denota quanto Ulrike, oltre ad essere un'instancabile viaggiatrice, si dimostri anche una valida insegnante – che è poi la sua professione - davvero abile nel tradurre nella forma di parola scritta quella che è la dote primaria di ogni buon docente, ovvero saper tenere desta l'attenzione e la curiosità di una classe o, come in questo caso, dei suoi lettori. Come lettore mi sono sentito fortunato così come lo sono i suoi alunni.

Nei primi capitoli Ulrike si presenta e racconta di sé, di quelle che erano le sue aspettative di ragazza, o meglio, quelle che qualche anno più tardi si è resa conto fossero invece le aspettative indotte dalla nostra società e da chi le stava vicino. Come studentessa il suo impegno era stato massimo e la prima dura lezione di vita è stato rendersi conto che a tanto impegno poi non corrispondeva necessariamente altrettanta soddisfazione lavorativa. Vedere deluse quelle che erano le sue aspettative l'ha portata a maturare ben presto la consapevolezza di cosa fosse realmente importante per lei: viaggiare. Ed è con il viaggio che Ulrike trova la sua realizzazione personale. Capisce che più di una buona preparazione accademica ciò che conta è fare esperienze, così da comprendere cosa davvero serve e cosa è superfluo, e lasciarselo alle spalle. Un concetto che Ulrike sviluppa grazie a una metafora a mio avviso perfetta, quando scrive del suo fedele e inseparabile zaino, che a ogni nuova partenza si fa sempre più leggero rispetto al viaggio precedente.


Sono tanti i Paesi di cui parla questo libro, ma sono solo alcuni dei tanti luoghi visitati dall'autrice. Quando si è viaggiato in tutti i continenti come ha fatto lei è inevitabile avere i propri luoghi del cuore e senza dirlo esplicitamente dalle sue pagine è facile intuire quali siano. Tra questi il Tibet ha senz'altro un posto speciale nella sua anima. Ulrike riporta con la precisione di una giornalista diverse situazioni a cui si è trovata ad assistere, vere e proprie vessazioni (eufemismo) a cui le autorità cinesi sottopongono il popolo tibetano e raccontano come meglio non si potrebbe lo sporco lavoro di annientamento culturale messo in atto quotidianamente, nella distratta indifferenza della cosiddetta comunità internazionale.
DEVIAZIONI è il titolo scelto per questo libro, dove le deviazioni non sono da intendersi solo come strade alternative per giungere alla meta, ma è anche lasciare deviare il proprio punto di vista grazie a quello che, viaggiando, vedono i propri occhi.

“Se tutto questo è viaggiare, allora perché la vita ci limita così tanto nel farlo? Se un viaggio può aiutarci a scoprire l'altro, a renderci più consapevoli, allora perché non siamo tutti degli eterni viaggiatori?”

Fare  delle DEVIAZIONI è anche dare attenzione a chi si incontra durante un viaggio, incontri a volte fugaci ma che restano dentro e continuano ad accompagnarti sottopelle. Il capitolo 7 si apre con la storia meravigliosa dell'incontro con la giovanissima Liz, che la travolge con il suo entusiasmo per poi svanire come svaniscono gli incontri casuali fatti durante un cammino. La magia di un viaggio è ritrovare queste persone a distanza di anni, nella maniera più sorprendente e inaspettata, e Liz ricompare proprio nel momento in cui Ulrike è in partenza per una delle sue avventure più belle, quel suo viaggio “Sola in Alaska” da cui poi ha scritto il suo primo libro per la Collana Orizzonti di Alpine Studio (libro di cui ho già scritto in questo mio blog).

“Perché la meraviglia del mondo è ovunque ed è sempre pronta a rivelarsi. Inaspettatamente, dietro ad ogni angolo.”

DEVIAZIONI, nel senso più letterale del termine, è anche lasciarsi tentare da un sentiero secondario che incrocia la via percorsa dai più. È la curiosità a guidare i suoi passi e Ulrike si lascia portare perché sa che solo così potrà davvero scoprire qualcosa di nuovo e sorprendente:
“Andando via dalla montagna colorata mi accorgo che, sulla sinistra, c'è un sentiero che si allontana dalla strada principale e che sale. (…) Si apre davanti a me una spettacolare valle completamente rossa, punteggiata qua e la da prati verde brillante (…) è quasi del tutto deserta: ci sono io, un cavallo solitario che sta brucando dell'erba e cinque ragazzi (…) Pochissima gente arriva fino a qui, nonostante la valle si trovi proprio accanto alla Montagna Arcobaleno...”.

Ulrike con queste sue pagine in qualche maniera ci affida gli angoli di mondo che viene a svelarci, località che ancora, e non si sa per quanto, restano fuori rotta rispetto alle mete più note e battute, ed è una nostra responsabilità individuale nel corso dei nostri viaggi futuri fare le opportune DEVIAZIONI nel pieno rispetto di questi luoghi e dei popoli che li abitano.

giovedì 1 luglio 2021

NOMADLAND: datemi retta, meglio se andate a comprarlo in libreria.

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Fatico a considerare un libro un bene commerciale alla stregua chessò, di un cavatappi, una calcolatrice o un telefonino. Acquistare un libro è cosa assai diversa da acquistare un paio di calzini. I calzini dove li prendi li prendi, va sempre bene (o quasi), i libri invece meglio acquistarli in libreria. Comprarli online dovrebbe essere l'estrema ratio. Un'opzione valida solo quando non c'è altro modo di entrare in possesso di un determinato libro, o se la libreria più vicina è a distanza siderale. Una scelta etica, alla pari di chi sceglie di non vestire pellicce per non essere complice della mattanza di innocenti bestiole, perché acquistando libri online in qualche maniera ci si rende complici, oltre che  della mattanza di tanti innocenti librai, della discutibile gestione del personale del colosso dell'e-commerce. Senza spoilerare più di tanto vi dico che NOMADLAND, più di altri, è il libro che mai e poi mai dovreste acquistare online. Leggendo potreste trovarvi a fare i conti con la vostra coscienza di consumatore. Diciamo che da questo libro, quasi 400 pagine di inchiesta giornalistica splendidamente narrata da Jessica Bruder, il “sistema Amazon” non ne esce benissimo. Cosa c'entri Amazon con le vicende di chi si trova a vivere su quattro ruote ve lo lascio scoprire da soli.

Finita la lettura ho guardato la trasposizione cinematografica di NOMADLAND: il film ricrea benissimo lo stato d'animo di chi si trova a dove fare questa scelta di vita nomade. Credo fosse inevitabile il fatto che la sceneggiatura riprenda solo in minima parte il "j'accuse" che si trova nelle pagine del libro.

Avete letto il libro? Avete visto il film? Cosa ne pensate?


Post scriptum: è la seconda volta nel giro di poco in cui mi sono trovato tra le mani un libro che nella sua edizione italiana viene presentato in maniera più soft rispetto alla sua edizione originale. La copertina italiana è un bel disegnino naif, tutto carino e colorato, dal sottotitolo è un po' vago: “un racconto d'inchiesta”. L'edizione originale in copertina mette invece la suggestiva foto di un vecchio Airstream male in arnese nella desolazione invernale di un zona desertica, immagine affascinante ma decisamente meno spensierata di quella da bella favola dell'edizione italiana, visto che una bella favola non è, e il sottotitolo dell'edizione originale chiarisce ulteriormente il concetto: “Sopravvivere nell'America del XXI secolo”. L'editoria italiana fa scelte di marketing che fatico a comprendere.

domenica 6 giugno 2021

IL PROFUMO DELLE FOGLIE DE CHEEE?!?

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Come lettore prediligo la narrativa di viaggio ma mi piace leggere un po' di tutto. A volte inizio a leggere il primo libro che mi capita sotto mano, senza stare a scegliere, giusto perché me lo trovo lì a disposizione. É stato il caso de “Il Profumo delle Foglie di Limone”, di Clara Sanchez, libro acquistato da mia moglie. Lei predilige le storie romantiche e questo romanzo con la delicata immagine di copertina e la poesia del suo titolo aveva tutte le carte in regola. Sulla qualità dell'opera poi non c'erano dubbi, questo romanzo della Sanchez è un bestseller da milioni di copie tradotto in mezzo mondo.

Una scrittura davvero scorrevole la sua nonostante il meccanismo narrativo non sia certo una novità: i due protagonisti – Sandra e Juliàn – si alternano nel raccontare in prima persona le medesime vicende dai rispettivi punti di vista. Non spoilero nulla dicendo che lui, Juliàn, è un uomo determinato, assai avanti negli anni, sopravvissuto alla deportazione nel campo di sterminio di Mauthausen che della caccia ai criminali nazisti sfuggiti al processo di Norimberga ha fatto una ragione di vita. Sandra invece è una giovane ragazza in dolce attesa che, sola, cerca di capire cosa fare della sua vita. Le loro strade incrociano quella di un gruppo di criminali nazisti decrepiti quanto Juliàn, solo che lui se li è andati a cercare per fargliela pagare, mentre Sandra ci incappa per caso.

Dopo una cinquantina di pagine ho cominciato a chiedermi che tipo di libro stessi leggendo, così ho chiesto a mia moglie come mai avesse scelto un libro così diverso da quello che idealmente è il suo genere. “Pensavo raccontasse un altro tipo storia”, mi ha risposto. Non mi sono sentito di darle torto. Anch'io pensavo di leggere qualcosa di diverso. Ripeto: è un ottimo libro, ma non è quello che mi sarei aspettato, vuoi per il titolo, vuoi per la copertina, ma soprattutto per la sinossi con cui viene presentato al potenziale lettore nell'aletta. Il romanzo in alcuni tratti è davvero tosto, certe pagine le leggi come se dovessi prendere una medicina: ci sono stati esseri umani che certe situazioni le hanno vissute sulla loro pelle e non puoi pensare di risparmiarti lo strazio saltando certi brani, non sarebbe giusto. In questo romanzo c'è ben poco di romantico, della dolce fanciulla dai lunghi capelli vestita di pizzo, i piedi a mollo nelle placide acque di un laghetto raffigurata in copertina nel libro non c'è traccia. Al contrario, la Sanchez descrive Sandra come una punk, i capelli mezzi rasati e mezzi colorati di viola, col piercing alla narice, che veste strano, gira in Vespa e calza scarponcini da trekking.

Poi succede che l'occhio mi cade al colophon: “Titolo originale dell'opera: Lo que esconde tu nombre”, tradotto “Cosa nasconde il tuo nome”, titolo che trovo più consono al contesto del romanzo e decisamente meno romantico rispetto alle “foglie di limone” (del cui profumo nel libro c'è solo un fugace accenno nelle prime pagine). Una googolata veloce del titolo ed ecco l'immagine di copertina dell'edizione originale, dove campeggia il volto inquietante di una giovane dalla carnagione spettrale dalla cui foto sono state strappate via le labbra, illustrazione dal forte impatto che, sempre a mio giudizio, rispecchia al meglio la tetra atmosfera che si trova nelle pagine. E non è finita, dall'immagine di copertina finisco su Amazon Spagna e vedo che la sinossi spagnola ha toni assai diversi da quella italiana, è molto più asciutta, la sinossi italiana parla del caldo di settembre, di mare e di profumo di limone, ça va sans dire, quella spagnola invece parla di orrori in bianco e nero e di vite in pericolo.


Da lettore mi sento in qualche modo preso in giro da questa operazione di marketing, da appassionato di scrittura mi chiedo – al netto del fatto che scrivere un bestseller del genere ti fa ricco – cosa ne pensa un autore nel vedere una sua opera trattata così... la Sanchez, per quel che vale la mia opinione, non ha certo scritto un romantico feuilletton al profumo di limone, e in Spagna, dove è iniziato il suo successo sancito sia dalle vendite che da importanti premi letterari, è stato proposto per titolo, copertina e sinossi, per quello che è. 


Perché mai per l'Italia il marketing ha pensato di dargli un'immagine che – sempre a mio giudizio – non gli appartiene?
Se tra chi legge questo post ci fosse qualcuno che ha letto il libro della Sanchez mi dica il suo pensiero. Se poi ci fosse anche qualche esperto di marketing editoriale che può illuminarmi è il benvenuto!

la sinossi italiana
IL PROFUMO DELLE FOGLIE DI LIMONE (da Amazon Italia)
Spagna, Costa Blanca. Il sole è ancora molto caldo nonostante sia già settembre inoltrato. Per le strade non c'è nessuno, e l'aria è pervasa da un intenso profumo di limoni che arriva fino al mare. È qui che Sandra, trentenne in crisi, ha cercato rifugio: non ha un lavoro, è in rotta con i genitori, è incinta di un uomo che non è sicura di amare. È confusa e si sente sola, ed è alla disperata ricerca di una bussola per la sua vita. Fino al giorno in cui non incontra occhi comprensivi e gentili: si tratta di Fredrik e Karin Christensen, una coppia di amabili vecchietti. Sono come i nonni che non ha mai avuto. Momento dopo momento, le regalano una tenera amicizia, le presentano persone affascinanti, come Alberto, e la accolgono nella grande villa circondata da splendidi fiori. Un paradiso. Ma in realtà si tratta dell'inferno. Perché Fredrik e Karin sono criminali nazisti. Si sono distinti per la loro ferocia e ora, dietro il loro sguardo pacifico, covano il sogno di ricominciare. Lo sa bene Julian, scampato al campo di concentramento di Mathausen, che da giorni segue i loro movimenti passo dopo passo. Ora, forse, può smascherarli e Sandra è l'unica in grado di aiutarlo. Non è facile convincerla della verità. Eppure, dopo un primo momento di incredulità, la donna comincia a guardarli con occhi diversi. Adesso Sandra l'ha capito: lei e il suo piccolo rischiano molto. Ma non importa. Perché tutti devono sapere. Perché ciò che è successo non cada nell'oblio.

la sinossi spagnola
LO QUE ESCONDE TU NOMBRE (da Amazon Spagna)
Sandra ha deciso di ritirarsi in un paese della costa levantina: ha lasciato il lavoro e, incinta, passa le giornate cercando di rimandare la decisione su cosa fare della sua vita. Sulla spiaggia incontra una coppia di ottuagenari norvegesi che sembrano essere la soluzione ai problemi di Sandra. Julián, un vecchio appena arrivato dall'Argentina, sopravvissuto al campo di sterminio di Mauthausen, segue passo dopo passo il viavai dei norvegesi. Un giorno Julián si avvicina a Sandra e le rivela dettagli di un passato che Sandra conosce solo da un film o documentario: orrori in bianco e nero che non hanno nulla a che fare con lei. Sebbene la storia di Julián sembri folle a Sandra, inizierà a guardare in modo nuovo gli amici, le parole ei silenzi della coppia di anziani, senza rendersi conto che la fine della sua innocenza sta mettendo in pericolo la sua vita.

lunedì 17 maggio 2021

DI QUESTI TEMPI

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DI QUESTI TEMPI

Barbara Cassioli
Alpine Studio

“C'è un momento, è un preciso attimo tra quando stacchi i piedi dal trampolino e quando la forza di gravità prende il sopravvento, quel frammento in cui sei a metà nelle cose, in cui la Vita ti chiede di avere fiducia...”

Se dovessi definire il mio stato d'animo nell'approcciare la lettura di questo libro direi scettico, ma non sarei sincero. Ero più che scettico. Cosa poteva aver mai a che fare con me questo libro? Io, che quando al TG passa la notizia dell'ennesimo sbarco di migranti magari cambio canale... cosa ci facevo con in mano un libro che in copertina ha la foto di una backpacker che fa l'autostop nascosta dietro al classico cartello di cartone sul quale è scritto LAMPEDUSA?!?

dalla sinossi editoriale: "Barbara Cassioli (...) decide di partire da sola: da Bologna a Lampedusa, l’isola più meridionale d’Italia. La viscerale paura di rimanere senza soldi le dà il giusto spunto per affrontare il viaggio senza un euro in tasca, e tutto ciò che risparmia si traduce in una donazione per Mediterranea Saving Humans, l’associazione che si occupa di monitoraggio e salvataggio di naufraghi nel bacino del Mediterraneo..."

Ad incuriosirmi fin da subito più che il libro è stata la sua autrice. L'ho “incontrata” poco prima dell'uscita del libro. Incontrata l'ho scritto tra virgolette perché l'incontro fu virtuale, io e Barbara siamo pubblicati dal medesimo editore, Alpine Studio - il mio Dove il Mondo Finisce e il suo Di Questi Tempi sono due titoli della collana Orizzonti. Nel novembre scorso eravamo presenti entrambi a una riunione online tra autori ed editore per capire come meglio organizzare la promozione si nostri libri in considerazione delle limitazioni imposte dal lockdown. I volti o i nomi presenti nella schermata di GoogleMeet più o meno li conoscevo tutti, tranne questa Barbara, che se ne stava lì in un angolino del mio monitor. La webcam la ritraeva in quella che pareva essere una mansarda, seduta, forse su un letto, nella posizione del loto. Alla fine di quella riunione se avessi dovuto scegliere un solo aggettivo per descriverla avrei usato selvatica, ovviamente non in senso dispregiativo, e per l'idea che mi sono fatto di lei credo non lo troverebbe offensivo, tutt'altro. Fatto sta che qualche settimana dopo facendo un po' di shopping tra i titoli di Alpine decisi di prendere anche il suo libro. Con il volume tra le mani è bastata qualche pagina e il mio iniziale scetticismo si è ben presto tramutato in sorpresa, perché leggendo ho scoperto che in qualche modo nel libro di Barbara c'ero anch'io. Ero quello che non si è fermato per darle un passaggio perché temeva di essere scambiato per uno che vuole provarci, ma ero anche quello che un passaggio glielo ha dato per poi chiederle se “di questi tempi” non avesse paura, se non temesse i rischi di ciò che stava facendo e cosa pensavano i suoi genitori di questo suo modo di viaggiare.


Sarà che ormai, nonostante il mio impegno per illudermi del contrario, non sono più un ragazzino, ma non ho potuto fare a meno di trovarmi a fare una sorta di esame di coscienza: sono a tre passi dai sessanta e lavoro da più di quaranta, possibile che io sia stato davvero tanto stupido? Non posso negare che negli anni ci siano stati momenti in cui un po' mi sia pesato essermi trovato a vivere la vita che ho vissuto fino ad oggi. Chiunque neghi di aver passato momenti del genere è un bugiardo. So che avrei dovuto studiare di più, avrei voluto e mi sarebbe piaciuto viaggiare di più, ma alla fin della fiera sento che il mio personale bilancio, nonostante i momenti bui sopra citati, è mooolto più che positivo. Mi sono però chiesto se la mia non fosse solo una forma di serena inconsapevole rassegnazione al ruolo che mi era stato assegnato (vai a sapere poi da chi...). Avrei forse dovuto avere anch'io un po' di sano egoismo e vivere la mia vita in modo diverso, anteponendo me stesso, i miei sogni, i miei desideri, la mia voglia di libertà, la mia voglia di vedere il mondo... a quella che è stata la mia ordinaria quotidianità?
Da ragazzo ho studiato quanto mi è bastato per imparare un mestiere e poi ho iniziato subito a lavorare, giovanissimo, e dopo un tot. di anni ho avviato una mia impresa, ho fatto delle cose, ho prodotto degli oggetti, ho dato lavoro ad altra gente, ma soprattutto insieme a mia moglie abbiamo messo su una gran bella famiglia. Per farla breve: se alla fine della mia autoanalisi ero giunto alla conclusione di non avere nulla da rimproverarmi non ero lo stesso del tutto sereno, giunto alla fine del libro ad infastidirmi c'era l'aver maturato consapevolezza di quanto fosse ipocrita e superficiale quel mio “cambiare canale” guardando il TG.


Il fatto è che l'informazione mainstream ti dice tutto, ma non ti spiega niente, e per andare al nocciolo di determinati argomenti devi metterci del tuo, ti devi impegnare. O magari trovarti a leggere un libro come Di Questi Tempi. A titolo di esempio: non mi ero mai chiesto quale fosse il “peso” del mio passaporto, io l'ho sempre guardato come si guarda una qualsiasi cosa scontata e il famoso TG mica ti racconta quanto conti il “peso” di un passaporto. Il mio passaporto c'è, esiste, ce l'ho ed è normale che sia così. È normale che ce l'abbiano tutti gli italiani e che questo documento consenta di andare senza visto in 171 Paesi dei 193 che sono riconosciuti come tali dall'ONU. Un eritreo invece potrebbe scegliere dove andare da uno striminzito bouquet di solo 38 Paesi, che si riducono a 32 per un somalo (VEDI QUI ). Ho scritto potrebbe, al condizionale, perché in Somalia, come in Eritrea, ottenere il passaporto per la maggior parte della popolazione è pura fantascienza e senza passaporto, senza un visto, per andare altrove l'unica via è affrontare una lunga marcia che può durare anni, a piedi, su camion e col barcone.

...a Villa di Piteccio a un certo punto del suo viaggio Barbara si sente chiedere: “...chissà poi perché non prendono l'aereo invece del barcone!?” 

Il comodo volo charter è un'opzione plausibile solo per noi che andiamo in Africa per turismo, non per l'africano che punta a nord per una questione di sopravvivenza.

Questo firmato da Barbara Cassioli non è tra i libri più belli che abbia mai letto, se per bello si intende divertente, è bellissimo invece per il messaggio che porta con sé. C'è la sua storia, di ragazza prima e di donna poi, e chi si racconta con questa schiettezza è da stimare a prescindere. Provo una sincera ammirazione per Barbara e per il suo autodeterminarsi, per il suo anteporre se stessa, la sua realizzazione di donna e di individuo e di conseguenza il suo equilibrio e la sua felicità ad ogni cosa. Così come ammiro e sono riconoscente verso quanti fanno un'altra scelta di vita (meno libera? più ordinaria?) e riescono a convivere bene con il fatto di essere un tassello del puzzle senza il quale non si potrebbe completare quel disegno sul quale si regge la nostra economia e la nostra società.

È bello che ci sia chi ci fa aprire gli occhi su quanto ci circonda, su quello che siamo e su quello che potremmo essere, ma è bello che ci sia anche chi riesce a trovare un equilibrio tra le sue aspirazioni e l'essere un “ingranaggio” del sistema. Ed è bellissimo leggere un libro che ti porta a Lampedusa in autostop e scoprire un'Italia generosa e operosa, ricca di realtà coraggiose e un po' folli delle quali non si parla abbastanza.

Brava Barbara!



C'È UN'ITALIA BELLISSIMA

Nell'estate del 2019, dopo la fine del viaggio, l'incontro con la giornalista videomaker fiorentina Costanza Castiglioni fa nascere la scintilla di un nuovo progetto. Si sviluppa così l'idea di ripartire e ripercorrere alcune delle tappe più significative del cammino di Barbara con l'obbiettivo di raccontarle in un docufilm, dal titolo C'è un'Italia bellissima, visionabile in maniera gratuita su YouTube.