sabato 16 novembre 2024

La Vespa rossa del cugino Luciano

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“Il fiore delle illusioni” è una bella storia d'amore, d'amicizia e parentela, ambientata nell'Italia di qualche decennio fa. Un passato tutto sommato ancora prossimo più che remoto, in cui si sono vissuti gli ultimi scampoli del cosiddetto boom economico.

È lo spaccato di un'Italia a due facce: al sud il vincolo di legami familiari dai quali è complicato sottrarsi anche per chi, emigrato al nord, “lassù” ha trovato sì lavoro e fortuna, ma al prezzo di una solitudine vera che può capire solo chi, come Francesco - protagonista e voce narrante di queste pagine – conosce bene il significato di sentirsi accettati senza mai sentirsi accolti per davvero.

Francesco sogna di dimostrare a suo padre che la scrittura può essere un mestiere vero, con cui guadagnarsi da vivere. All'opposto c'è il sogno di Luciano, il cugino con cui trascorre le sue estati meridionali che, legatissimo alla sua terra natia, insegue caparbio il sogno di arricchirsi con i frutti delle sue terre e il sudore della sua fronte. Per entrambi il contesto sociale è quello in cui la generazione dei padri ancora incombe su quella dei figli. 


E poi arriva Ella, la bella australiana dagli occhi verdi, il suo passaggio nella vita e nel cuore dei due cugini lascerà in entrambi una traccia profonda. Quella di Francesco, di Luciano e di Ella è la storia di tre ragazzi di una generazione che, ieri come oggi, rivendica caparbia il diritto di sognare e di cercare dentro se stessi quale sia il proprio posto nel mondo. A qualunque prezzo.

E poi in questo bel romanzo c'è anche una Vespa rossa...

“Mentre mi perdevo in quei pensieri, Luciano mi fece segno di saltare sulla Vespa. (…) Uscimmo dal paese con i giri 'a minimo a minimo' per consumare poco, dopo il camposanto era tutta discesa e Luciano spense il motore, da bambini per fare il buffone sfilava la chiave e la cacciava in tasca, dovevo stare attento ad assecondare le curve senza freno-motore. (…) Ed eccola quella sensazione che per tutti quei mesi avevo aspettato e per niente al mondo gli avrei confessato: scendere a motore spento su quella mulattiera tutta curve, tra le colline arate e i pascoli, i casolari e i ruderi divorati dalle ortiche, le pietre miliari a segnare la distanza da Matera, la città grande, in faccia il vento e l'odore di stalla, latte cagliato, terra bagnata e fieno dalla canottiera di Luciano. (…) C'era qualcosa di più grande che ci univa, più forte degli insulti con cui venivo chiamato a Milano, più forte di quelli con cui lui era chiamato lì. Era un'unione con la terra: io e lui uniti dalla terra che era l'unica cosa vera.”.

Una pennellata discreta nonostante il colore vivace della Vespa di Luciano, che più volte fa capolino tra le pagine. Una pennellata discreta ma efficace, perché negli anni '80 - così come già lo era stata negli anni '50, '60 e '70 restando tale fino all'arrivo degli anni 2000 - la Vespa è stata il mezzo di trasporto che ha accompagnato lungo la strada complicata che porta all'età adulta diverse generazioni di giovani che in lei hanno visto la rappresentazione del loro sogno di libertà e di indipendenza.

Feltrinelli

sabato 9 novembre 2024

Qualcuno ha perso un incipit per strada?

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QUALCUNO HA PERSO UN INCIPIT PER STRADA?

Si dice che un bravo scrittore le storie non deve andarle a cercare perché sono le storie a farsi trovare da lui. Anch'io scrivo, e con impegno, ma per quanto smisurato può essere il mio ego temo non ci siano i presupposti, diciamo che sono un autore che se la cava.

Ciò non ha impedito che una storia - anzi, l'incipit di una storia - abbia scelto di farsi trovare proprio da me, nella forma di poche righe scritte in corsivo con calligrafia minuta e in apparenza infantile su un foglio strappato da un quaderno a quadretti.

“Fu una mancanza d'aria improvvisa a farmi imboccare il cancello da cui ero appena entrata, approfittando della distrazione di Davide.
Nessuno si era accorto di me che stavo uscendo, nessuno mi fermò quando, appena girato l'angolo della villetta, mi misi a correre a perdifiato solo per sfilarmi gli scomodi sandali dorati con il tacco, per abbandonarli e dimenticarli in un cestino dei rifiuti, insieme al braccialetto con il lucchetto. E con i piedi nudi sull'asfalto tiepido di quella sera di fine giugno ritrovai il gusto pieno della mia felicità, l'intonazione della mia voce che aveva voglia di cantare, e la sensazione di essermi liberata da una catena invisibile che mi stava strozzando facendomi male.
Sul treno che mi riportava a casa promisi a me stessa che non sarei stata più la marionetta di nessuno.
Quando presi il treno che mi riportava a casa l'emozione di sentirmi libera prese il sopravvento e questo mi riempì il cuore di gioia e   ”.

Un incipit trovato per strada è una circostanza troppo singolare per non prendere in considerazione l'idea di provare a scrivere il resto della storia e scoprire come va a finire, e non è detto che prima o poi ci provi davvero.

Prima però ritengo doveroso non lasciare nulla di intentato per cercare l'autrice (o l'autore) e restituire al legittimo proprietario questo embrione narrativo, sarebbe bello se qualcuno si facesse vivo e (grazie alla calligrafia) dimostrasse di esserne l'autore.

Massima riservatezza.


martedì 1 ottobre 2024

La casa dell'uva fragola

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Vi è mai capitato di veder spuntare tra le pagine di un romanzo un vostro lontano parente vissuto più di un secolo fa?, a me sì...

LA CASA DELL'UVA FRAGOLA di Pier Vittorio Buffa è un romanzo familiare, un viaggio nel tempo e nella memoria nel contesto di un periodo drammatico e difficile per tutti, dallo scoppio della Grande Guerra all'inizio della Seconda Guerra Mondiale. A far da cornice al racconto la piccola comunità di Castel Cabiaglio, minuscolo borgo nascosto dal verde dei boschi del varesotto, località a me cara in quanto, prima da bambino e poi da ragazzo, vi ho trascorso stagioni felici, ospite di mia nonna nella sua casa.

Nel romanzo le storie private dei protagonisti si intrecciano ai drammi collettivi di una nazione. La storia è quella della famiglia dell'autore, che nel suo scrivere è bravo nel fare un passo indietro, nell'esserci pur restando nascosto tra le righe, nel farsi cronista senza cadere nella tentazione di farsi protagonista, cosa di cui sono capaci solo i bravi scrittori.

Teatro della narrazione è “la casa dell'uva fragola”. Le sue mura originarie risalgono al XIV secolo, fu ampliata a fine Seicento e trasformata in signorile abitazione nel Settecento, quindi “ammodernata” nella seconda metà dell'Ottocento, quando la trisavola Ernesta, fatta rimuovere una beola del cortile, pianta il tralcio di vite che nei 165 anni che ci portano al giorno d'oggi è cresciuta rigogliosa fino a raggiungere la lobbia del secondo piano. Da luogo reale quale è la casa dell'uva fragola diventa il luogo simbolico dove le generazioni si incontrano e si raccontano, dove ogni piccolo evento diventa parte di un quadro più ampio. 

Regalo inaspettato di questa lettura trovare tra i personaggi minori un mio lontano parente, sfortunato pro-prozio che, giovanissimo, insieme a troppi coetanei sacrificò la vita per la patria. Ma la vera sorpresa è stato scoprire che il portone verde della casa dell'uva fragola resta giusto dirimpetto a quello della casa delle mie stati cabiagliesi dove abitava mia nonna Dina.
Ringrazio Pier Vittorio Buffa per altri due fantastici regali: aprirmi la porta di quella che oggi è la sua casa di campagna e farmi assaggiare la squisita marmellata di uva fragola, dalla storica ricetta di famiglia.

sabato 10 febbraio 2024

Il ragazzo e il professore (sogna ragazzo, sogna).

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Un uomo di ottant'anni e un ragazzo di poco più di venti, uno accanto all'altro sullo stesso palco.

Da una parte un maturo professore che però è anche un grande artista, musicista e poeta capace di fondere tra loro tutte queste cose interpretando come meglio non si potrebbe quello che dovrebbe essere il ruolo di un insegnante: insegnare la vita.

Dall'altra un giovane artista molto meno superficiale di quanto potrebbero far pensare le sue braccia tatuate con una fantasia di disegnini da carta regalo. La maggior parte dei suoi colleghi su quel palco fanno da attaccapanni per gli stilisti più improbabili (e infatti poi ci sono più commenti ai vestiti che alle canzoni).

Il ragazzo si chiama Andrea De Filippi, in arte Alfa, e il suo outfit invece è davvero minimal, pantaloni e tshirt nera, così che ciò che arrivi al pubblico siano le sue parole e la sua musica e non il suo vestito, è questo che gli sta a cuore, un cuore giallo.

Il prof. di cognome fa Vecchioni e il testo della sua canzone è una vera e propria lezione in crescendo su cosa sia la vita vista dalla parte di chi un bel po' di vita l'ha vissuta. La troverai tua strada ragazzo, la troverai nonostante le sconfitte, nelle piccole cose, quando magari non ci credi più, e nell'ultima strofa c'è il compito che il prof. da al suo giovane allievo:

“... ti ho lasciato un foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu...”.

Ma la lezione del prof. Vecchioni non è ancora terminata e l'insegnamento finale non è più fatto di parole ma di gesti, tanto semplici quanto carichi di significato, il suo dito vibra come a dire “tocca a te ragazzo mio” e con l'altra mano va a cercare la sua spalla e gliela stringe convinto, “io credo in te! credi in te stesso! ce la farai!”, e poi fa quei due passi indietro che sono una lezione importante non solo per quel ragazzo ma per tutti quanti.

La scena, il palco, ora sono tutti del ragazzo che sogna, adesso tocca lui...

“Lo voglio scrivere, cancellare e riscrivere, strappare delle pagine e usare inchiostro invisibile, per poterlo nascondere e non lasciarne traccia, non so se sarà poesia o solo carta straccia, quando c'ho solo vent'anni e sai che cosa sento? Ho tutta la vita davanti eppure sto perdendo tempo, c'è chi corre perché scappa, c'è chi corre perché insegue, io corro perché solo quello mi fare stare bene, e sono su questo palco per giocare con la vita e se mi si spezza il fiato, se poi spezzo la matita, più basso è il punto di partenza più alta è la salita, ma spero che il panorama valga tutta 'sta fatica, non so cos'è l'amore ma a volte lo percepisco in un tramonto, uno sguardo, in un disco, se mi guardo intorno penso che son fortunato, non so chi ha creato il mondo ma so che era innamorato”.

Eccoli qua il ragazzo che sogna e il professore, regalatevi questi 4 minuti di magia.

domenica 8 ottobre 2023

La centenaria che girò ... in camper

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La centenaria che girò il mondo in camper

Sappiamo quanto sia sbagliato giudicare un libro da titolo e copertina. Si rischia sempre di prendere una cantonata, di ignorare libri meritevoli perché penalizzati da un titolo o da una grafica infelice, ma anche di sprecare tempo (e denaro!) in letture che poi deludono l'aspettativa ingenerata da una bella copertina e da un titolo furbo e fuorviante.

È quanto mi è successo con “La centenaria che girò il mondo in camper” di Fiona Lauriol. 

Ho un debole per la letteratura di viaggio e la narrativa camperistica è un sottogenere che sta prendendo piede. John Steinbeck con il suo “Viaggio con Charley” del 1962 ne fu pioniere: a quei tempi il camper come lo conosciamo oggi non esisteva, Steinbeck il suo se lo fece realizzare incastrando una roulotte sul cassone di un pickup!

Altro titolo di valore assoluto è il delizioso “Leisure Seeker” di Michael Zadoorian, “In viaggio contromano” nell'edizione italiana, oggetto di una pregevole trasposizione cinematografica “Ella & John”, regia di Paolo Virzì, protagonisti Helen Mirren e Donald Sutherland.

Il bestseller “Nomadland” di Jessica Bruder è il più recente tra i titoli di camperistica, un duro libro inchiesta che esplora il mondo dei vanlifers statunitensi che, diversamente dal sottoscritto - immagino il mio futuro prossimo venturo come un vagabondaggio camperizzato, ignorante e senza meta – la vita in una casa con le ruote non la scelgono ma resta l'unica opzione abitativa.


Torno al libro della Lauriol: chapeau all'editore italiano! Ci sono cascato con tutte le scarpe! La centenaria c'è e il camper pure, manca però il giro del mondo. L'autrice carica la nonna in camper per regalarle un degno fine vita in libertà che sarà più lungo del previsto. Un diario day by day tra Francia, Spagna, Portogallo e stop, di giorni tutti uguali. Per “fortuna” (del lettore) l'inaspettata e lunga sosta forzata imposta dal lockdown dona una scossa (piccola) alla narrazione. Non dico che non sia apprezzabile, giusto un filo prolisso rispetto agli eventi. A mio avviso non risponde alle aspettative indotte da copertina e titolo. Giudico più onesto l'originale “101 ans mèmè part en vadrouille” così come la copertina.

Come sempre i giudizi personali sono relativi, credo che il mio giudizio riguardo al libro, al netto delle mie osservazioni riguardo all'essere prolisso – cosa di cui più di una volta si rende conto anche l'autrice e per non smentirsi scrive pure quello! - è un giudizio severo dovuto in parte alla delusione di aver trovato un racconto diverso da quello che mi aspettavo di leggere. Che sia un testo interessante lo testimonia il fatto che in Francia è stato un bestseller poi tradotto in italiano e altre lingue. Cercando poi info online a riguardo ho anche scoperto che dal libro ne sarà tratto un film.







#libridiviaggio #narrativadiviaggio #johnsteinbeck #michaelzadoorian #jessicabruder #fionalauriol #lacentenariachegiroilmondoincamper #101ansmemepartenvadrouille

giovedì 30 marzo 2023

a proposito di diritto d'autore...

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È buffo. Da qualche giorno si fa un gran parlare dell'accordo saltato tra SIAE e META che ha portato a inibire, nel contesto di contenuti Social, l'utilizzo di gran parte dei brani del repertorio della musica italiana.

Qualcuno ha calcolato che le perdite, in termini di mancate royalties per gli artisti interessati, potrebbero arrivare al 20% dei loro introiti. È buffo, perché l'uso “Social” di questi brani molto spesso consiste nella riproduzione di stralci di una canzone, qualche decina di secondi nella maggior parte dei casi, brevi “stralci” che rappresentano però per gli artisti interessati ben il 20% dei compensi da diritto d'autore!

Io pure nel mio piccolo sono un autore, ma non di musica, di narrativa. Un editore ha pubblicato un mio testo e questo è diventato un libro che una volta uscito sul mercato mi ha dato tante soddisfazioni, tra queste il fatto di esser stato messo a catalogo in diverse biblioteche pubbliche.

Una cosa bellissima! Tanta gente può così leggere le mie pagine gratuitamente, così come tanta gente, sempre gratuitamente ascolta stralci più o meno lunghi che fanno da colonna sonora ai contenuti Social... e vengo al punto: non ho nulla in contrario al fatto che un cantante e l'autore di una canzone maturino fino al 20% dei loro introiti da diritti d'autore dalla riproduzione di brevi stralci delle loro opere, non posso però fare a meno di chiedermi come mai, a fronte di prestiti bibliotecari documentati, non sia previsto il benché minimo compenso per l'autore di un libro oltre le royalties relative all'acquisto di quella sola singola copia da parte della biblioteca.

Giusto e sacrosanto che chi scrolla contenuti Social non paghi nulla per la colonna sonora scelta dai creator e che per questo sonoro gli autori siano comunque retribuiti. Altrettanto giusto e sacrosanto che l'utente di una libreria pubblica non debba pagare nulla per leggere ciò che gli garba. Forse un po' meno equo che offrire la lettura gratis sia un onere a esclusivo carico dell'autore delle pagine in questione.

Se tra chi mi legge ci fossero dei professionisti della parola scritta chiedo loro: cosa ne pensate?

Sono io a essere troppo venale o convenite con me che c'è una stortura nel sistema e che forse sarebbe equo e opportuno sanarla?

giovedì 23 marzo 2023

Sorry, we're closed (for ever!)

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È sempre una brutta notizia sapere che una casa editrice alza bandiera bianca e abbassa per sempre la saracinesca. La notizia poi è davvero pessima se l'editore in questione è quello di un tuo libro.

Sono triste. Triste per le persone che ci lavoravano, delle quali ho conosciuto e toccato con mano la passione che mettevano nel fare quello che non è un lavoro come gli altri. Sono triste poi perché negli anni si era costituito un catalogo di tutto rispetto e fa male sapere che il futuro di tutti questi bei libri sarà l'oblio, o peggio ancora il macero.

Oltre che triste però sono pure incazzato, molto incazzato!, perché tra questi libri c'è anche “Dove il Mondo Finisce”, la mia creatura di carta e d'inchiostro  che con due edizioni e una ristampa (e un premio!) mi ha dato molto più di quanto mai avrei potuto immaginare e fatico a rassegnarmi all'idea del suo incolpevole declino, della sua scomparsa dai radar dei tanti librai che  vorrebbero proporlo ai lettori insieme al mio nuovo libro che ha rinnovato l'attenzione verso ciò che ho scritto.

Arrendersi non è un disonore, ammettere la sconfitta può anche essere un gesto nobile quando ci si rende conto di non avere le capacità per competere in un mondo dove “piccolo e indipendente” è un pesante fardello da portarsi dietro. Meno nobile e decisamente fastidioso se una volta presa la decisione hai l'egoismo di fottertene di cosa la tua libera scelta significa per quanti ti hanno affidato le loro “creature”.

Fare l'editore non è un business come un altro, non è nemmeno un lavoro o un mestiere che si impara, è una passione che richiede sacrificio attenzione e rispetto. Fare l'editore non è, non può e non deve essere un passatempo, per nessuno.